di Elena Varvello
Ci sono posti che tolgono il fiato. Ci sono persone che vale la pena d’incontrare. Ci sono progetti a cui sentiamo di voler contribuire, semplicemente perché sono importanti e potranno determinare un cambiamento – e noi crediamo ancora nel cambiamento, crediamo ancora che sia possibile.
A volte ci accade di arrivare in un posto così. A volte abbiamo la fortuna d’incontrare persone del genere. A volte ci imbattiamo in un progetto importante.
Eppure succede di rado, lo devo ammettere, che in un posto da togliere il fiato vivano persone che vale la pena d’incontrare, persone che sono l’anima e il cuore di un progetto che ha valore e che potrà determinare un cambiamento.
Quando succede, non possiamo far altro che esserne grati. Quando succede – se succede – sarà impossibile dimenticare quel posto, quelle persone e quel progetto.
Ecco quello che penso, tornata a casa da Matera da qualche giorno, dopo l’incontro con Francesco Mongiello e Sergio Gallo e tutte le persone che lavorano insieme a loro – il cui entusiasmo e la cui passione meriterebbero un racconto a parte – e dopo aver avuto la fortuna di partecipare ad Amabili Confini, uno dei progetti culturali più coraggiosi e autentici in cui sia stata coinvolta in questi ultimi anni.
Non c’è bisogno che mi dilunghi cercando di spiegare quanto Matera ti possa togliere il fiato. Non sarei in grado di trovare le parole giuste neppure se ci provassi. Vi posso dire che mi guardavo in giro e che scuotevo la testa e che dovevo avere un’espressione inebetita stampata sulla faccia, la tipica espressione di quando sei senza parole ed è il silenzio, lo sai, a rendere giustizia a quello che ti circonda. È il fatto di camminare sulla Storia e dentro la Storia, certo, ma c’è anche qualcosa che ha a che fare con la luce e con il cielo e con i colori di Matera, con le sue prospettive che cambiano continuamente, come se Matera ti si muovesse davanti agli occhi, con il sentirsi piccoli di fronte a tanta bellezza e, nello stesso tempo, privilegiati, parte di una meraviglia che scorre come l’acqua e come il vento tra le sue strade.
Matera ti toglie il fiato. Ma poi ci sono le persone, dicevo, e Amabili Confini, un progetto di cultura partecipata per la rigenerazione delle periferie della città. Lasciate che sottolinei quanto siano dirompenti e rivoluzionarie, in tempi come questi, le espressioni “cultura partecipata” e “rigenerazione delle periferie”.
La cultura dovrebbe essere partecipata, sempre, e invece troppo spesso si arrocca in certi luoghi, si chiude in certe stanze, si volta dall’altra parte, indifferente o supponente.
La cultura è – dovrebbe essere – l’intreccio di tutte le nostre esistenze, di tutte le nostre esperienze. È – dovrebbe essere – condivisione, ascolto e partecipazione, appunto.
Amabili confini è un gesto di apertura, è una porta che si spalanca, è l’aria fresca che penetra dentro una stanza chiusa. Vuol dire andare nelle piazze di quelle che vengono chiamate le periferie, sedersi gli uni accanto agli altri e ascoltare le storie di uomini e donne, ragazzi e ragazze, che vivono le loro vite temendo di non avere niente da raccontare, temendo che quelle storie, le loro, non interessino proprio a nessuno. Invece ci interessano e valgono moltissimo e vanno raccontate. Così come valgono le periferie, magari meno luccicanti e appariscenti dei centri delle nostre città, eppure vive e vitali e piene di amore e di sofferenza, di gioia e dolore, di fallimenti e rinascite.
Mi sono seduta in piazza Tre Torri a Matera, qualche giorno fa. Ho avuto il privilegio di ascoltare alcune storie, d’incontrare i loro autori e di parlarne con loro. Il giorno dopo ho raccontato la mia, La vita felice, e sono stata ascoltata davvero.
Partecipazione e condivisione, è questo il punto.
I cambiamenti più grandi e più duraturi possono incominciare così: in una piazza lontana dal centro, una bella serata di giugno, con persone che vale la pena d’incontrare, in un posto talmente bello da togliere il fiato.